Referendum 8-9 giugno

Votare: un segno di democrazia e di partecipazione attiva

VOTAZIONI E PARTECIPAZIONE ATTIVA

La Cittadella – domenica 25 maggio 2025

Che i prossimi 8 e 9 giugno gli italiani siano chiamati ad esprimere il loro parere su una serie di quesiti referendari riguardanti aspetti concernenti il mondo del lavoro (4 domande relative a sicurezza, licenziamenti, contratti a termine ed appalti e la riduzione da 10 a 5 anni per l’ottenimento della cittadinanza italiana per cittadini stranieri) è informazione che fatica a trovare spazi adeguati a livello nazionale per cui, ancora oggi, una parte considerevole di italiani di questa tornata referendaria non ha alcuna consapevolezza o se ce l’ha è decisamente scarsa. Tale forma di disinformazione non può che avere un unico risultato: vedere disertare i seggi in massa il prossimo giugno. Questa disaffezione dal voto, d’altronde, non è certo notizia sconvolgente se calcoliamo che alle ultime europee ha votato meno del 50% degli aventi diritto e che alle politiche del ’22 si è registrata l’affluenza più bassa tra tutte le elezioni dei Paesi dell’Unione con il 64%. È vero, come ha giustamente scritto Carlo Verdelli sul Corriere della Sera (Venerdì 16 maggio) “La libertà di voto è un diritto così fondamentale e così esteso che contempla anche il suo contrario: il diritto a non votare, con tutte le conseguenze caso per caso”. La stessa carta costituzionale parla di dovere civico e non di obbligo al voto (art. 48). L’astensione quindi risulta pienamente legittima, ma crediamo che l’eventuale e magari ampio flop partecipativo a questi referendum segnerebbero un ulteriore e grave segnale di allontanamento complessivo dei cittadini dalla vita politica attiva del nostro Paese. Un sistema democratico ha senso solo se si regge sulle gambe di tutti i cittadini, la delega in bianco alle forze politiche (di qualunque schieramento facciano parte) significherebbe abdicare a quel principio di sovranità popolare che quando viene correttamente inteso è il sale stesso che dà gusto alla democrazia, cioè alla convivenza civile e al pluralismo di idee. Come rappresentanti diocesani del tavolo del bene comune abbiamo pertanto deciso di fare discutere i quesiti referendari non tanto ai rappresentanti dei partiti, quanto piuttosto agli esponenti di quelli che tecnicamente vengono chiamati “corpi intermedi” (come sindacati ed associazioni sia di categoria che del terzo settore) che si sono confrontati lo scorso 13 maggio presso il centro pastorale diocesano. Sulle singole posizioni circa i vari referendum prese da CGIL, CISL, API, ACLI che si sono rese disponibili all’incontro, ha già dato ampio riscontro la Gazzetta di Mantova il giorno 14; in questa sede ci interessa segnalare alcuni aspetti che hanno caratterizzato l’evento: il primo aspetto è che si è parlato e ci si è confrontati nel reciproco rispetto delle posizioni di ciascuno evitando la radicalizzazione dello scontro nel quale ogni parte vuole avere l’esclusiva della ragione (quella che oggi possiamo chiamare la “tribalizzazione” della politica), il secondo è che chiamati in causa sono stati soprattutto i giovani che però per essere coinvolti attivamente devono venire entusiasmati (oltreché ascoltati) da chi oggi gestisce la cosa pubblica e questo può essere svolto solo attraverso la capillare azione di quelle forze associative (specie del volontariato nelle sue varie declinazioni) nelle quali i giovani trovano il senso del loro impegno molto più che nella attività politica diretta. Certo, non tutte le realtà partecipanti si sono espresse a favore o contro i vari quesiti, unica è stata la CGIL che ha proposto i 4 quesiti sul lavoro, ma tutti hanno insistito sull’importanza alla partecipazione al voto; ed è proprio su questo che noi organizzatori puntavamo, convinti che più ancora che la posizione pro o contro sia importante la partecipazione come segnale in controtendenza rispetto ad una deriva dalla vita pubblica. Scrive sempre e con saggezza Carlo Verdelli “La deriva è specchio di una sfiducia nella possibilità che il proprio voto abbia un qualche effetto rispetto ai cambiamenti ritenuti indispensabili. E allora sto a casa, come sbrigativamente mi consigliano. Ecco, l’8 e il 9 giugno rischia di succedere un’altra volta proprio questo: un invito ulteriore a lasciare fare a chi se ne intende, a non preoccuparsi di cose che vanno gestite in altro modo e in altri luoghi. È una discesa a balzi verso una democrazia prosciugata della sua linfa vitale, cioè la partecipazione attiva, tornare a votare, disturbare il manovratore ogni volta che lo si ritenga necessario”. Crediamo importante invece una inversione di tendenza e proprio questi referendum ci possono dare l’occasione di riprendere in mano, almeno per quanto ci è consegnato dalla Costituzione, le redini della cosa pubblica; l’invito quindi che facciamo è andare a votare, magari esprimendo 5 No sulle schede, ma questo sarebbe già un grande successo per la democrazia. Poi, nello specifico dei quesiti ci sentiamo di sbilanciarci solo per l’ultimo, quello riguardante l’abbreviazione dei tempi per ottenere la cittadinanza, una riduzione che permetterebbe all’Italia di allinearsi con altri paesi d’Europa come Francia, Germania, Paesi Bassi. Ci viene data un’occasione, vediamo di non sprecarla.

Roberto Melli

Tavolo del Bene Comune – equipe Giustizia sociale, Lavoro e Cittadinanza

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